Coscienza e memoria in pazienti con lesioni ippocampali
DIANE RICHMOND
NOTE E NOTIZIE - Anno XV – 01 dicembre 2018.
Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org
della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind
& Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a
fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta
settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in
corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di
studio dei soci componenti lo staff
dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
Gli studi
pionieristici sulla memoria umana, fin dal celebre caso del paziente H. M. che
per decenni continuò a incontrare e non riconoscere Brenda Milner,
hanno dato origine ad un corpus di ricerca sulle basi ippocampali della
capacità di ricordare, di dimensioni veramente monumentali. Col progredire
delle conoscenze, si sono moltiplicati i ruoli fisiologici identificati per i
sistemi dell’ippocampo ma, al contempo, sono sempre più cresciute le evidenze
di una partecipazione dei neuroni di CA1, di CA3 e del giro dentato a reti che
mediano funzioni legate all’identità, ai rapporti con lo spazio e col tempo, e,
in ultima analisi, costituiscono le basi della cognizione di sé stesso
nell’ambiente presente e nella diacronia episodica della vita. In altre parole,
i ruoli dell’ippocampo in processi che attengono alla coscienza. Questo
rapporto non meraviglia, se si tiene conto che la maggior parte degli studi
sull’abilità umana di ricordare si basa sull’analisi di compiti che richiedono
la capacità di ritenere e ricordare nozioni (memoria semantica) o fatti accaduti (memoria episodica), ossia due forme di conoscenza esplicita,
liberamente accessibile alla coscienza.
Agli studi
anatomo-clinici che hanno gettato le basi della neuropsicologia classica, sono
succedute le analisi del neuroimaging
funzionale, che indagano in vivo le
basi cerebrali di attività compiute dai volontari sotto lo sguardo dei
ricercatori, ma il rapporto fra regioni cerebrali implicate e abilità
esplorabili rimane il nucleo sostanziale di questa ricerca.
Uno studio
su pazienti con lesioni circoscritte all’ippocampo o danni del lobo temporale
mediale includenti l’area ippocampale ha sottoposto a verifica la dipendenza della
consapevolezza di ciò che è stato appreso dalla piccola formazione grigia
strutturata come un cavalluccio marino.
(Smith C. N. & Squire L. R.,
Awareness of what is learned as a characteristic
of hippocampus-dependent memory. Proceedings of the National Academy of
Sciences USA – Epub ahead of print doi: 10.1073/pnas.1814843115, Nov. 14, 2018).
La provenienza degli autori è la seguente: Veterans Affairs San Diego Healthcare System, San
Diego, California (USA); Department of Psychiatry, Department of Neuroscience,
Department of Psychology, University of California, San Diego, California (USA).
Smith e Squire dell’Università di San Diego, in California, hanno
studiato pazienti con disturbi della memoria dovuti a lesioni circoscritte
all’ippocampo o estese a territori più ampi della porzione mediale del lobo
temporale. Lo studio è stato strutturato con un gruppo di controllo costituito
da volontari in tutto equivalenti ai pazienti. Per esplorare il rapporto fra
funzione ippocampale o, meglio, fra circuiti neuronici prevalentemente
ippocampali e componenti coscienti dell’esperienza di memorizzazione, è stata
adottata una tecnica basata su immagini riproducenti scene nelle quali
riconoscere, in base ad una registrazione mnemonica precedente, delle
differenze introdotte dai ricercatori. In tal modo, è stata messa a confronto
la prestazione mnemonica con la consapevolezza cosciente di ciò che era stato
appreso, sia nei pazienti con lesioni ippocampali sia nelle persone volontarie
sane.
In
particolare, ai partecipanti si mostravano scene familiari, oppure tali scene dopo
avervi introdotto un cambiamento: i pazienti identificavano un numero molto più
basso di variazioni introdotte alla riproposizione della scena, rispetto ai
volontari sani fungenti da gruppo di controllo.
Esaminando
il comportamento esplorativo dello sguardo, si è rilevato che sulla superficie
di tutte le scene i volontari sani dirigevano gli occhi verso le regioni che
erano state variate, quando avevano una consapevole
certezza del cambiamento. E, in questo caso, potevano affermare con
sicurezza che una variazione era stata apportata; erano in grado di riferire
con precisione cosa fosse cambiato e indicarne la localizzazione spaziale,
ossia dire dove fosse l’elemento differente. Interessante notare che, quando
erano inconsapevoli del cambiamento o ne avevano una conoscenza cosciente solo
parziale, i volontari sani non avevano aree preferenziali, nella scena
osservata, verso cui dirigere lo sguardo.
I
pazienti con lesioni dell’ippocampo o più estese, nella massima parte dei casi,
non hanno diretto lo sguardo verso le zone della scena dove erano state
inserite le variazioni; l’orientamento degli occhi verso le sedi della
differenza da rilevare si è registrato solo le pochissime volte in cui loro –
così come accadeva ai volontari sani – avevano una consapevole certezza del cambiamento. Questa particolarità
esplorativa non si verificava per errore nelle persone con lesione ippocampale;
ossia, quando erano del tutto inconsapevoli o avevano solo una parziale
conoscenza della variazione, il loro sguardo non era diretto verso zone
preferenziali della scena osservata.
I
risultati ottenuti supportano l’idea che la consapevolezza di ciò che è stato
appreso sia un elemento chiave della memoria dipendente dall’ippocampo.
L’autrice
della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per
la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni
di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito
(utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
Diane
Richmond
BM&L-01 dicembre
2018
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